La normalità dell’ “anormale” – Lions Club – Distretto 108 L

La normalità dell’ “anormale”

9 aprile 2015, 11:00

L’ispirazione al chiarimento del concetto di “anormalità” attribuito al diversamente abile nasce da un episodio di cui è stato protagonista un nostro cavaliere affetto da tetraparesi spastica, disabilità che non implica automaticamente disturbi o limitazioni mentali., anzi, coloro che ne sono colpiti, arrivano anche a laurearsi. Il fatto. Mentre veniva portato a spasso nella sua carrozzella dall’accompagnatore, alcune persone si erano intrattenute a parlare con quest’ultimo. Notando che rivolgendosi anche a lui era in grado di rispondere coerentemente alle domande, avevano avuto il “garbo “di osservare: ”Allora é normale, capisce …” sottitendendo un iniziale giudizio negativo di anormalitá sulla persona nella sua totalità física, mentale e psichica . Questo episodio non isolato ha ferito e fatto arrabbiare il nostro cavaliere così come quelli accadutigli nel corso della sua trentennale vita. Tale esperienza è comune a chi presenta delle disabilità. Pertanto affinchè verso queste persone vi sia un’atteggiamento obiettivo, accettante senza pietismo, senza sottovalutazioni o pregiudizi sulle loro capacità è importante avere chiari i concetti di normalità e anormalità Le parole hanno sempre due significati: uno semántico lessicale, la parola in sè, e uno affettivo, che manifesta la relazione tra oggetto, parola e chi la pronuncia. Ciò vale anche per le parole “normalità “ e “anormalità”. Quando in un discorso si pronuncia la parola “ anormale”, c’è sempre il timore di essere considerati negativamente dall’ascoltatore, pertanto segue la classica espressione::”… anche se non si può dire cosa sia la “normalità” e l’ “anormalitá” Questa frase scontata, tanto usata, sembra ignorare che la “normalitá” è l’alta frequenza con cui si presenta un comportamento, mentre l’ “anormalità” è quando la frequenza è bassa, e non per questo implica una denotazione negativa della parola in sé. Pertanto la negatività della definizione “anormale” è nella connotazione ovvero nell’interpretazione di chi parla, per colpa della diffusione del giudizio comune che le attribuisce un significato sminuente il valore della persona. Tale giudizio è dovuto alla mancata considerazione sulle potenzialità offerte da madre natura: ad alcuni le ha concesse per un adattamento autónomo alla vita , ad altri no. In ragione di ciò, , entrambi hanno un processo di sviluppo che segue strade diverse con risultati diversi, ma sempre coerenti, normali, rispetto alle dotazioni fisiche, percettive, mentali in loro possesso. Analogamente al nostro cavaliere con tetraparesi spastica, anche l’ autístico con disturbi percettivi dalla nascita, che manifesta reazioni emotive e motorie incomprensibili, viene considerato “anormale” nella sua accezione negativa, sebbene si comporti coerentemente ai suoi “strumenti”. L’importanza di comprendere e riconoscere la normalità delle manifestazioni “anormali” dei diversamente abili nasce dall’obbligo di rivedere il pregiudizio nei loro confronti, pregiudizio che condiziona il comportamento, i sentimenti e le aspettative dell’interlocutore verso le capacità effettive e potenziali di chi ha abilità soggette a limiti. A noi operatori del CREC avere sempre presente la normalità di manifestazioni considerate comunemente “anormali,” consente di far emergere le potenzialità residue del cavaliere e di proporgli obiettivi impensabili per chi non sa vedere oltre quanto appare di una condizione psico/fisica/comportamentale, anche grave e cronica, con risultati che apportano miglioramenti inaspettati.

Dott.ssa Simonetta MIRA Consulente Psicologa Direttrice Tecnica del C.R.E.C.

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