il Lions Club Ciampino e l’approfondimento su “alimentazione, energia per la vita” – Lions Club – Distretto 108 L

il Lions Club Ciampino e l’approfondimento su “alimentazione, energia per la vita”

2 marzo 2015, 19:49

Il pane e il vino rappresentano due pilastri centrali delle basi alimentari dei popoli del Mediterraneo, essendo entrambi i frutti millenari di due fondamentali piante che hanno contribuito a fondare civiltà: il grano e la vite. Piante talmente importanti da plasmare il nostro paesaggio agrario, le nostre tradizioni, i linguaggi, i valori e i nostri simboli.

È attraverso questi prodotti, parsimoniosamente accumulati o vistosamente ostentati, consumati o sperperati, scambiati o donati, che le comunità contadine hanno disegnato il loro modo di concepire la comunità, la ricchezza e la povertà, solennizzato eventi festivi e comunitari.

Posti sugli altari, o sulle tavole, offerti in sacrificio agli déi o spartiti sulla mensa quotidiana, il pane e il vino non sono, dunque, semplici ed elementari risorse commestibili, ma sono piuttosto il segno delle mediazioni simboliche elaborate dall’uomo per mediare tra sacro e profano.

Il vino simboleggia la salute, l’abbondanza, la voluttà, l’allegria. Ecco perché viene associato al sangue, non si dice forse che il vino rosso fa buon sangue? Da qui il suo uso nella medicina popolare, a scopi terapeutici. In questo contesto il vino sconfigge anemie e gracilità, allevia lo stato di spossatezza causato dalle malattie da raffreddamento, solleva gli afflitti e i depressi, ha funzione di antidoto contro i morsi delle vipere.

Tutto questo è valso, e vale tuttora (anche se in forme più mediate), nel territorio dei Castelli Romani. Un territorio unico, risultato di un connubio naturalistico e umano che nel tempo ha caratterizzato e reso inconfondibili i suoi saperi e i suoi sapori.

Dobbiamo pensare ai vini di una terra come a degli “indicatori” dei luoghi dai quali provengono, e se esaminati attraverso una mediazione culturale e non solo colturale, al di là delle loro caratteristiche organolettiche questi sono in grado di svelare l’essenza, penetrare il mistero di un territorio, ossia quel patrimonio storico, sociale e colturale che appartiene a un luogo, e alla comunità che lo vive.

Proprio per questo è impossibile pensare al connubio vino-Castelli Romani senza rifarsi a un evento unico: la Sagra dell’Uva di Marino. La prima edizione di questo evento risale al 4 ottobre 1925 a opera di Leone Ciprelli e Ettore Petrolini (che cantando la famosa canzone di Franco Silvestri “Nannì” consacrò definitivamente il testo alla Sagra e ai Castelli), e fu la prima manifestazione di questo genere organizzata in Italia.

L’evento, insieme a quelli di Veio e Leprignano (poi scomparse), fu l’unico a poter godere dell’appellativo di “sagra”, titolo riconosciutogli dall’Opera Nazionale Dopolavoro del regime fascista, che in questo modo intendeva tutelare la specificità di una manifestazione che non doveva essere confusa con le innumerevoli feste dell’uva sorte un po’ ovunque negli anni successivi.

Il pane, invece, rappresenta per l’uomo il riscatto dalla fame ma anche la capacità di dominare la natura. Nella civiltà contadina il pane è il simbolo per eccellenza dei cicli stagionali e si inserisce in tutta quella serie di riti che servono a riscattare da quel senso di insicurezza e precarietà su cui si basava il vivere quotidiano. Al tempo stesso non si può non riportare l’importanza che questo rivestiva nel consumo comunitario del pasto, nella necessità di dividerlo e di offrirlo agli altri, di scambiarlo, di ostentarlo per affermare posizioni di prestigio sociale. La presenza di questo alimento all’interno degli eventi festivi e cerimoniali ne attesta le valenze magiche e simboliche, tanto da divenire offerta votiva, dono o talismano.

Corrado Barberis, nella sua pubblicazione dedicata al pane laziale, ben ne descrive le caratteristiche: la cerealicoltura vanta nel Lazio antiche tradizioni, fin da quando gli antichi abitatori della regione piantavano gli uni accanto agli altri semi di varietà diverse (dal farro all’orzo e al frumento vero e proprio) determinando quella che veniva chiamata una farragine. La compresenza di più grani serviva infatti a evitare che, specie a causa di qualche ristagno di acqua, venisse compromesso il raccolto. L’eccellenza panificatoria è comunque così indiscussa che è spettato al Lazio il primo riconoscimento ufficiale europeo di una IGP cerealicola: quella riferita al pane di Genzano. Ognuno dei pani laziali ( e molti li troviamo proprio nei Castelli romani) vanta una tradizione fatta di forme, ingredienti e usi differenti, che si legano alla località specifica in cui nascono, un patrimonio costituito da tecniche e saperi, reti di relazioni sociali e significati culturali che va preservato e non banalizzato da approcci troppo commerciali.

Questa breve, e di certo non esaustiva, disamina sul pane e il vino all’interno dei Castelli Romani, e in generale del Lazio, illustra l’affascinante mondo simbolico, culturale e colturale che nascondono gesti come spezzare una forma di pane o portarsi alle labbra un bicchiere di vino.

Ma ha anche uno scopo ulteriore nel momento in cui fa riflettere su una serie di fattori molto importanti: quando cambiano gli ingredienti, le tecnologie di cottura e la preparazione di alimenti base (come appunto il pane e il vino), vengono compromessi e cambiano non solo le relazioni sociali, ma anche la produzione agraria, la salute e la cultura stessa di un popolo.

Ecco perchè ha senso tutelare le nostre cucine locali, a loro è ancorato molto di quanto siamo stati e siamo oggi.

Lucia Galasso

Antropologa dell’alimentazione

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